skip to Main Content

Sentieri Underground #11 – Il cinema della New Hollywood

Gangster story di Arthur Penn — P0890
Il laureato di Mike Nichols — P0196
Ciao America di Brian De Palma — P0559
M.A.S.H. di Robert Altman — P0269 + P0686
American Graffiti di George Lucas — P0351
La rabbia giovane di Terrence Malick — P0313 + D1173
La conversazione di Francis Ford Coppola — P1332
Taxi Driver di Martin Scorsese — P0063 + D0008
Il cacciatore di Michale Cimino — P0190

Al principio di una cosa chiamata Nuova Hollywood c’è, ovviamente, Hollywood. La cara vecchia fabbrica dei sogni, sfinita dall’inizio dell’era televisiva e dalla fine dello studio system, incapace di comprendere, fare propri, rielaborare in storie, immagini, miti – e dunque moneta sonante – i desideri di un pubblico nuovo. Un pubblico ora giovane, figlio del benessere post bellico e nuovo soggetto politico attivo. Un’America che ha la possibilità di immaginare e immaginarsi in maniera differente da quella che l’ha preceduta: l’America dei baby boomer, cresciuti a suon di beat e Guerra fredda, guardando sorrisi e canzoni in tv come il Vietnam. L’America che riflette sullo stato della propria unione. che lotta per i diritti civili e che vede (e rivede, e rivede) morire JFK e Martin Luther King. Un’America violenta e violentata, stretta a quella che vuole fiori nei propri cannoni, l’America che si rivolta a Chicago e che, nata negli ultimi anni di Kinsey, vuole, fortissimamente vuole, la rivoluzione sessuale. Un’America tesa tra utopia e paranoia, libertà e senso d’oppressione. Un’America così era in cerca di un cinema nuovo, lontano dalle rovine di quello precedente, dalle sue difficoltà economiche e mitopoietiche, dal suo intimo, e infine consapevole, commovente, stato di crisi”*.

Se già negli anni Cinquanta c’erano stati alcuni segni di cambiamento dovuti alla presenza di autori come Elia Kazan e Nicholas Ray che proponevano una visione meno disincantata dell’America, i cui eroi erano già dei perdenti e degli emarginati, con la New Hollywood ci fu quello che è stato probabilmente il maggior fenomeno di rinnovamento del cinema statunitense dai tempi dell’avvento del sonoro: un fenomeno che non solo ha consentito, dalla fine degli anni Sessanta, una ripresa dell’industria cinematografica nazionale all’interno di un quadro economico-organizzativo radicalmente mutato dai tempi della Hollywood classica, ma che ha contribuito alla nascita di un vero e proprio nuovo modo di narrare le storie, molto più inserito nel proprio contesto socio-culturale e caratterizzato dalla presenza di nuovi registi e nuovi attori. Quello della New Hollywood è stato un cinema in principio capace di “ricorrere ai piccoli budget produttivi, di rinunciare agli studios e parlare ai giovani e dei giovani, della politica e del costume, di preferire la deriva dell’antieroe al viaggio dell’eroe, di abbracciare, strumentalizzare e commercializzare gli insegnamenti etici ed estetici del documentario e dell’underground, che conosceva il cinema diretto, le nouvelle vague europee e anche la pop art”*_ e che in questo senso riusciva ad attuare una critica delle immagini del cinema precedente. Un cinema passato che i nuovi registi amavano, con cui erano cresciuti e provavano nostalgia, ma del quale non potevano non denunciarne l’inadeguatezza nell’interpretazione di un mondo che ormai era cambiato per sempre.

* Giulio Sangiorgio, “America 70. Sterminateli senza pietà”, Lost Highway n.1, novembre 2013

Back To Top
×Close search
Cerca