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Sciuscià

di Vittorio De Sica
con Franco Interlenghi, Rinaldo Smordoni, Aniello Mele
Italia, 1946, 93′
Ariston Classici

Vita di strada, riformatorio e fuga di due piccoli lustrascarpe romani. De Sica e Zavattini, ruvidezza ancora intrisa di guerra, pedinamento fiabesco. Capolavoro d’umanesimo neorealista. Ignorato dal pubblico in Italia, vinse l’Oscar per il miglior film straniero. “Erano i giorni che sapete. E io pensavo: adesso sì che i bambini ci guardano! Erano loro a darmi il senso, la misura della distruzione morale del paese” (Vittorio De Sica).

In Sciuscià la guerra, che ha prodotto un’enorme crescita del Lumpenproletariat, prosegue ora in altre forme, come guerra di strada nella giungla urbana. Le situazioni cui lo Stato, la burocrazia e il sistema carcerario sottopongono gli individui sono profondamente e disumanamente assurde rispetto allo sguardo del bambino. Se l’accusa di I bambini ci guardano era diretta ai genitori, qui è trasferita all’apparato sociale. Sullo sfondo di una constatazione crudele spicca una purezza d’osservazione sempre meravigliosa. […] Sciuscià è una nuova versione dei due mondi di Jean Vigo. Il mondo degli adulti con la loro guerra, il fascismo e lacorruzione è rappresentato in termini di freddo, ordinario realismo, a volte come una bazzecola comica. Il mondo dei bambini è in gran parte invisibile, nascosto, un sogno. Può essere ravvisato sui loro volti o in immagini concepite nello strano chiaroscuro di una leggenda. La visione dei due ragazzi nella foresta in groppa a un cavallo bianco è come una favola che aleggia su tempi malvagi.
(Peter von Bagh)

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