skip to Main Content

Journey to the East: Japanese Thrills

In principio erano i kaidan di epoca Edo (1603-1868): storie di spiriti vendicativi, di bakeneko (gatti fantasma), di donne-serpente, di teste volanti che popolavano il folklore giapponese nel teatro, nei racconti orali e nelle stampe del periodo. Prima che i J-Horror infestassero le sale di tutto il mondo all’inizio del nuovo millennio, il cinema giapponese aveva già una tradizione di kaiki eiga (film ‘bizzarri’) lunga quasi un secolo che parte dagli oltre venti adattamenti del classico Yotsuya kaidan nei primi due decenni del Novecento e passa per autori come Mokudo Shigeru e scream queen ante-litteram come Suzuki Sumiko negli anni ’30. Si tratta di film quasi sempre ambientati in uno spazio e in un tempo ‘altri’ che puntano più sulle atmosfere e su rudimentali trucchi di montaggio per sorprendere lo spettatore più che sullo spavento. Il mostro o il fantasma molto spesso non è una presenza orrorifica e irrazionale, ma un agente della vendetta che si abbatte sui cattivi di turno.

Negli anni ’50 e ‘60 l’horror giapponese vive la sua prima stagione d’oro, quando si afferma la tradizione di realizzare kaiki eiga da distribuire nel periodo dell’Obon, la festa dei morti che in Giappone si celebra in piena estate, un modo per esorcizzare il caldo estivo con brividi di paura. È il periodo dei “B movies” della Shintoho e delle piccole major che appaiono e scompaiono in quegli anni, dei capolavori di Nakagawa Nobuo e del passaggio a un horror più ‘tradizionale’. Le storie continuano a essere quelle della tradizione, ma i suoi fantasmi iniziano a infestare il presente creando uno strano senso di inquietudine, accentuato dall’aumento di scene spaventose ed effetti più sanguinolenti.

Nei due decenni successivi, con la sempre maggiore influenza del gotico europeo e dell’horror hollywoodiano e la ripetizione di formule sempre più logore e stantie, il genere passa in secondo piano e viene relegato alla fruizione domestica con la comparsa dell’home video. Chi si distingue punta su sperimentazioni visive e ibridazioni del genere come Obayashi Nobuhiko in Hausu o su una maggiore componente gore come la serie al limite dello snuff di Guinea Pig.

Bisognerà aspettare gli anni ’90 per vedere un ristretto gruppo di autori capitanati da Kurosawa Kiyoshi e Nakata Hideo trasformare definitivamente il kaiki in J-Horror, portando elementi dei primi (gli spiriti vendicativi, soprattutto donne) in ambientazioni contemporanee (case, uffici, hotel): a prevalere è il senso di angoscia e turbamento dato da presenze inquietanti all’interno di spazi familiari, dove nessuno può più sentirsi al sicuro. La paura psicologica si intreccia con quelle del presente, tra gli attentati al sarin a Tokyo, il terremoto di Kobe e il millennium bug, la maledizione si trasmette invisibile e inspiegabile attraverso telefoni, computer, radio o televisioni, portando il contagio a diffondersi senza sosta in un mondo interconnesso. Questo periodo breve ma molto fertile avrà un’influenza decisiva sull’horror contemporaneo, contribuendo alla formazione di una sorta di horror ‘pan-asiatico’ per poi attraversare l’Atlantico e ricevere remake e sequel a Hollywood. In Giappone, la spinta si esaurisce in un decennio, lasciando spazio a derive auto-esotizzanti che puntano al contrario su shock e stereotipi culturali a uso e consumo del pubblico occidentale, da Tokyo Gore Police alla breve stagione dei Sushi Typhoon. In questa rassegna, proporremo in tre diversi appuntamenti una breve carrellata di alcuni dei più rappresentativi esempi dell’evoluzione di questo genere, dal secondo dopoguerra al periodo di massima diffusione del J-Horror a cavallo del nuovo millennio.

Back To Top
×Close search
Cerca