
Sentieri Underground #15 – Omaggio a Marlon Brando
Gli anni tra la fine della seconda guerra mondiale e il 1960 furono un’epoca di enormi cambiamenti nella produzione hollywoodiana, dove registi e sceneggiatori sentirono la necessità di un rinnovamento tematico e stilistico, mettendo in dubbio quelli che erano i canoni dei generi classici ed iniziando ad “affrontare esplicitamente con la loro opera temi quali la giustizia, l’antisemitismo, il razzismo, riflettendo le inquietudini sociali ed ideologiche che attraversano la società americana di quegli anni”(1).
Si trattò di un enorme tentativo di “rinnovamento ideologico e narrativo del cinema hollywoodiano dal suo interno, riflettendo la crisi di una società, ma anche la fine di quell’orizzonte produttivo cinematografico americano che poteva essere definito «fabbrica dei sogni»”. È chiaro che questo rinnovamento per avere il successo che ha avuto doveva essere supportato a dovere da dei volti nuovi, da attori che avessero l’energia e il carisma di caricarsi sulle spalle i cambiamenti di un’intera nazione. Non è sicuramente un caso che nacque in quegli anni, nel 1948 ad essere precisi, l’Actor’s Studio, una scuola di recitazione che si focalizzava sulla teoria dell’identificazione della personalità profonda dell’attore con quella del personaggio.
“Un’identificazione che deve quindi comprendere la totale disponibilità psicologica dell’attore, che deve scavare nel proprio inconscio e farne affiorare i conflitti. In questo senso il metodo si allontanava in maniera piuttosto netta dal classicismo hollywoodiano del periodo precedente. Le interpretazioni degli attori dello Studio vanno molto al di là della trasparenza classica, con forti connotazioni nevrotiche e accentuazioni drammatiche che modificarono profondamente la drammaturgia dell’attore dal dopoguerra in poi”(2).
Il più significativo interprete del metodo di quegli anni, James Dean a parte, fu sicuramente Marlon Brando, interprete carismatico, versatile, coraggioso e imprevedibile nella scelta dei ruoli che ha saputo prestare la sua nevrotica bellezza virile a personaggi complessi, ambigui e combattuti, rimasti inevitabilmente scolpiti nell’immaginario collettivo. “Marlon attore nuovo impone sullo schermo una fisicità di inedita forza e un modo di recitare complesso, intimo e però evidente in cui la presenza fisica va insieme all’introspezione più accanita. Diventa il segno di un’epoca e questo gli impedisce di essere solo un attore, e una vita normale. I suoi grandi film sono in realtà rari (il Tram, Fronte del porto, Viva Zapata, Il selvaggio, i film di Penn e Huston, Il padrino e Apocalypse Now, e quell’Ultimo tango in cui Bertolucci lo guidò a essere-e- fare se stesso, a svelarsi e scoprirsi impudicamente e dolorosamente e bensì trionfalmente, in un incontro-scontro attore-regista che sapeva per entrambi di ossessive pratiche psicanalitiche). Fu il successo il suo nemico, la sua difficoltà a potersene districare, e il suo amore, nonostante tutto, per quel che il successo gli portava, anzitutto il denaro”(3)
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A lui la trentesima edizione de Il Cinema Ritrovato ha voluto dedicare una meravigliosa retrospettiva, che noi abbiamo deciso di trasformare nel nuovo capitolo de I Sentieri Underground!
(1) Paolo Bertetto (a cura di), Introduzione alla storia del cinema, Novara, Utet università, 2008, pp. 143-146.
(2) Ivi.
(3) Goffredo Fofi, “Omaggio a Marlon Brando”, Il Cinema Ritrovato XXX edizione